Swing e Mina.
Quelle cassette da alternare in modo quasi scientifico.
Mangianastri come miglior compagno lungo la strada, verso il sogno.
Giovedì e via.
Via da Milano, via da tre figli e la moglie Monica.
Colosso Monica nella praticità della vita familiare e nel sostenere Giorgio nel sogno.
Sogno a volte peso come un macigno.
Mina ad accompagnare il ritorno verso la capitale lombarda alla domenica sera, verso l’abbraccio familiare, impregnato degli odori e dalle istantanee dei colli di San Gimignano.
Diciassette anni così. Diciassette anni di sacrifici. Diciassette anni lungo una strada da percorrere velocemente perché i vitigni non potevano aspettare cosi come, al ritorno, il calore dei suoi bimbi Giulia, Gregorio e Gabrio.
Fiorente attività delle autoscuole: una vita da benestante, fatturati sempre in crescita. Un sogno per tanti.
Sogno non per Giorgio.
Il suo è solo uno, quell’antico podere, scovato per caso, lungo la panoramica strada tra San Gimignano e Volterra: il Palagione.
Amore a prima vista.
Si svuota il “salvadanaio” e tanti debiti: subito la ristrutturazione dell’antico casale e la piantumazione dei terreni una volta vitati e poi…. poi la cantina per lavorare rispettosamente le uve ed affinare i vini in bottaia.
Davanti allo schioppettare del legno del camino, in piena armonia al calice dorato della sua Vernaccia Hydra, Giorgio è un fiume di parole in piena. Racconta dei suoi vigneti e del suo olio.
La foschia dei primi giorni di novembre non nasconde le dolcezze delle curve delle colline nella zona più meridionale del comune di San Gimignano.
Vernaccia, Sangiovese ed il Prugnolo Gentile tra i principali vigneti; ma anche l’amato/odiato Merlot.
Quel vitigno internazionale in terra Toscana. Un vero e proprio affronto nella terra di sua maestà Chianti. Nella terra dalla profonda tradizione. Ma quell’ettaro di Merlot partorisce uno dei fiori all’occhiello della cantina: Ares. Solo duemila bottiglie. Che vanno a ruba nelle migliori enoteche internazionali.
E Giorgio è un poco, come il suo Merlot.
Milanese in terra toscana. Milanese senza tradizione familiare di viticoltori in mezzo a cantine centenarie di profonde tradizioni locali. Il milanese in Toscana a fare i vini.
“Un vino buono però.” Per ammissione dei “castellani”, il milanese “senza arte né parte” il vino l’ho fa proprio “bono”.
Non si è mai riuscito veramente ad integrare. Visto quasi come una “meteora” Giorgio ha combattuto contro pregiudizi locali. Cocciuto come pochi, perché lasciare a casa famiglia e una impresa fiorente ci voleva proprio un matto. Via a divorare libri di enologia, via a sperimentare, a stare nei filari illuminati solo dalla Luna.
“Mai una volta ho pensato a mollare tutto e tornare a Milano. Mai”
Giorgio sorride e con quel vocione importante riempie il salone mentre sua moglie, da brava regista domestica, porta in tavola pane caldo con olio di loro produzione profumatissimo.
“Volevamo poter vivere con i ritmi della natura, …. Volevamo essere scomodi, fisicamente affaticati, ma intellettualmente sereni, ….Volevamo dare ai figli l’opportunità di una scelta …..Volevamo mostrare loro un’altra faccia”.
Le fatiche delle giornate Giorgio le sente tutte. Felice di poter crollare a letto morto di stanchezza e non vedere l’ora di riprendere il lavoro.
Ci racconta come se fosse suo figlio quel bicchiere di Chianti appena versato. Il suo Draco del 2015, Chianti Riserva, un sangiovese in purezza che si presenta in una bottiglia elegante e curata nei minimi dettagli.
Diciotto mesi in botti di quercia che ci regalano forti sentori secondari e terziari. Rose rosse, viole e frutti di bosco si alternano al naso. Quell’acidità e quel tannino tipico del vitigno: freschezza e autorevolezza.
Una vera esperienza sensoriale accompagnata dagli occhi lucidi di Giorgio. Il prodotto del suo duro lavoro quotidiano. Di tanta campagna e tanti consigli di ottimi enologi e agronomi italiani.
Nulla lasciato al caso. Quella precisione manageriale milanese nel seguire ogni singolo processo della catena produttiva. La “milanesità” che entra in un processo tramandato in Toscana da una generazione all’altra con il solo passa parola. La sua Vernaccia Riserva ORI è un concentrato di tecnica, territorialità e personalità: profumi sotterranei ma decisi e puliti, gusto sapido e persistente.
Ma anche tanta poesia in quella bottiglia che la critica nazionale e internazionale ha più volte premiato.
Nei ristoranti top di San Gimignano si sono fatte sempre più spazio queste etichette.
Ed è stato il trampolino di lancio a livello internazionale. I suoi nuovi compaesani, che per tanti anni hanno guardato al milanese con sospetto e reticenza, hanno consacrato il livello di altissima qualità raggiunto. Bevendolo in primis e offrendolo alla clientela straniera.
Sessantamila bottiglie all’anno con incrementi annuali a due cifre. Giappone, Germania e Usa che fanno a gara ad accaparrarsi le produzioni successive. Tanti riconoscimenti.
Ma a Giorgio questo poco interessa. A lui importa divertirsi facendo il contadino tra i vigneti ed essere ricambiato con una bruschetta con olio nuovo e di un suo calice di vino genuino.
…….Volevamo “sporcarci” le mani, eravamo stanchi di lavori “di carta”…..Volevamo essere artigiani……
Le cassette di Swing e Mina in bella vista tra le bottiglie più pregiate della cantina a ricordare quel lungo sogno del “milanese”, diventato una splendida poesia dell’enologia italiana.